"Acquadolce"
 

La via del tè -prima puntata-

5 giugno 2007

L’associazione Culturale Acquadolce nell’ambito dell’iniziativa "Il Tè al Forte", presenta: La via del tè, storia, cultura e scienza del tè a puntate, ideata e scritta da Fiorenzo Testa. I Puntata: LA SCOPERTA DEL TE’

L’ASSOCIAZIONE CULTURALE E PROMOZIONE SOCIALE
“ACQUADOLCE”

PRESENTA

La via del Tè
( Storia, cultura e curiosità sul tè, a puntate)
di Fiorenzo Testa

I Puntata

- la scoperta del tè: miti e leggende

- la civiltà del tè in Cina

- gli utensili: l’arte del tè

LA SCOPERTA DEL TE’: MITI E LEGGENDE

Le notizie si perdono nella notte dei tempi. Da quanto ci è stato tramandato, pare che gli scopritori del tè siano stati i Cinesi. La stessa parola “tè”, infatti, proviene dal dialetto delle zone costiere cinesi e si pronuncia “tei”, mentre in altre regioni si legge “cha” (la dizione “cha”o “c’ha” è usata ancora oggi in Russia, Asia Centrale, India e nei Paesi Arabi). In Europa è rimasta “tè”, probabilmente perché i primi carichi provenivano dai porti della Cina sudorientale (il primo amore non si scorda mai).
Un’antica leggenda cinese racconta che nell’anno 2737 a.C., l’imperatore Chen Nung, dopo aver ordinato alla servitù di bollire l’acqua delle cucine, si sedette sotto un albero per sorvegliare l’operazione. Un leggero venticello staccò alcune foglie dall’albero e le fece cadere in un recipiente d’acqua calda; fu così che l’imperatore, senza saperlo, bevve il primo tè della storia, trovandolo non solo ottimo ma anche di effetto euforizzante.
Un’altra leggenda narra che il monaco indiano Bodhidharma, ventottesimo patriarca dopo Buddha, giunto in Cina intorno al 520 d.C. come missionario buddista, una notte, durante i suoi esercizi religiosi, venne assalito dal sonno e per non addormentarsi si strappò le palpebre e le gettò a terra. In quello stesso punto spuntò un albero con le foglie sempreverdi. Bodhidharma mangiò le sue foglie e scoprì che scacciavano la stanchezza, da allora……. Tutto questo farebbe concludere che il tè sia una pianta originaria della Cina, ma l’analisi del suo DNA non tranquillizzerebbe nessun ufficiale d’anagrafe. Infatti alcune autorevoli fonti fanno risalire le originbi del tè all’India e precisamente nella zona dell’Himalaya orientale. Per dirla tutta, potremmo scomodare perfino il grande Lao-Tse che racconta, appunto, che il tè germinò dalle palpebre di Durma, il terzogenito del re indiano Kosjuwo. Durma recise le sue palpebre per riuscire a stare sveglio in modo da poter meglio piangere la morte del fratello ucciso dai briganti. Sarà dura derimere la disputa tra le origini del tè cinesi e quelle indiane, comunque, quello che possiamo affermare con un alto grado di approssimazione è che la culla della civiltà del tè fu la Cina, esso crebbe in Giappone, in età matura si sposò con l’Europa e a tutt’oggi convive, “more uxorio”(1) con tutto l’Occidente, senza dimenticare le sue nobili origini.

LA CIVILTA’ DEL TE’ IN CINA

Le prime testimonianze storicamente attendibili risalgono al secondo secolo d.C., quando lo studioso cinese Kuop’o (276-324) descrive un piccolo albero sempreverde dalle cui foglie si otteneva per infusione una bevanda. Le popolazioni locali il tè lo mangiavano sotto forma di piccoli rotoli di foglie affumicate e poi messe in salamoia, oppure ridotte in pallottole e accompagnate da sale, aglio e grasso, esattamente come avviene ancora oggi presso alcune tribù della Thailandia settentrionale, della Birmania e dello Yunnan.
Il tè come bevanda in Cina comincia ad essere diffuso tra il sesto e il settimo secolo, quando i monaci taoisti e buddisti attribuiscono al tè diverse virtù corroboranti, favorenti la concetrazione mentale e la meditazione. Probabilmente furono questi i motivi che indussero i monaci a coltivare la “Camelia sinensis”(2) strappandola alla foresta tropicale, dando inizio alla futura “economia del tè”.

Le grandi dinastie

La prima “Corte del tè” nacque con la dinastia Tang (618-907) nel cui regno il tè veniva consumato già nella maggior parte delle province, al punto che anche le classi più povere possedevano il loro tè o per lo meno la loro idea di tè, che consisteva in un infuso di foglie di diversi tipi di peri e meli selvatici. Ma cose del genere succedono più o meno ancora oggi nelle nostre società opulente: i potenti, “i vip”, possiedono il “bene” effettivo, mentre il resto della gente si accontenta dello stereotipo, di un surrogato che rende l’idea e non ti fa sentire particolarmente “sfigato”, ti aiuta a vivere creando un “mondo delle illusioni” per dirla col Foscolo, senza voler esagerare scomodando il sommo Platone con il suo “ mondo delle idee”. In effetti, un aiuto determinante alla diffusione della cultura del tè venne proprio dalla poesia e dalla letteratura. Un grande poeta e scrittore cinese Lu Yu, intorno al 780, scrisse appunto “Il Canone del tè”, in cui pianificava definitivamente tutte le informazioni relative a produzione, selezione delle foglie e preparazione. Per diversi secoli “Il Canone del tè” fu la bibbia dei consumatori e produttori cinesi. Egli fu una specie di Carlos Castaneda dell’ottavo secolo che, invece delle proprietà sciamaniche del peyote, trattava di tè.
Le grandi dinastie, le magnifiche corti cinesi una cosa però ripresero dalle classi umili. Bisogna sapere che a corte, il tè, veniva servito in contenitori d’argento, mentre il popolo prendeva il tè in vasi di terracotta. Fu sempre Lu Yu a pontificare , forse per un antico retaggio proletario, forse per una fulgurazione anticipatrice rivoluzionaria, che il tè andava servito in contenitori di terracotta poi diventata porcellana, magari smaltata anzi, addirittura lo smalto azzurro proveniente dal sud della Cina era “colore adatto a valorizzare il colore ambrato del tè”, mentre quello bianco gli conferiva una strana colorazione rosata. E’ qui che il rito del tè assomiglia ad un archetipo di “riscatto sociale”, un abbrivio di ”illuminismo” ante litteram. E tutto questo avveniva alla fine dell’ottavo secolo, quando in Europa la dinastia Carolingia pensava al massimo di aprire un’università.
Lu Yu, come tutti i grandi scrittori, creò, senza volerlo, un movimento letterario. Il poeta Lu Tung lo emulò dedicando la propria esistenza a perfezionarsi in tutto ciò che riguardava la preparazione del tè, non mancando di scrivere versi che inneggiavano alla virtù della regale bevanda, come per esempio, suo è il verso:

“non m’importa l’immortalità,
amo soltato il sapore del tè”.

Una specie di “carpe diem” cinese, senza aver alcun sentore dell’esistenza dei più familiari a noi asclepiadei(3) oraziani, e che se la batte con il nostro:

“……vina liques et spazio brevi
spem longam reseces…………
.”(4)

La mutazione dell’economia agricola dovuta allo sviluppo della coltivazione del riso, cereale che aveva un rendimento superiore all’orzo e al miglio, determinò una forte migrazione delle popolazioni dal nord verso il sud, nelle fertili pianure dello Yangtse. Questo processo intensificò lo sviluppo della cultura del tè che si diffuse in quasi tutta la Cina. Il tè diventò ben presto “il carburante” dello sviluppo economico cinese, forse proprio a causa delle sue proprietà mediche e corroboranti di cui avevano molto bisogno le popolazioni provate dal duro lavoro dei campi. Un po’ come oggi si sta accrescendo il fabbisogno di petrolio nella Cina capital-comunista la cui crescita economica viaggia ormai su numeri a due cifre. Ne sanno qualcosa i nostri “mercanti post-moderni” che subiscono oggi lo “sturm und drang”(5) delle esportazioni cinesi, novelle orde mongole i cui fuochi orgiastici illuminano minacciosi la notte attorno alle mura della “Fortezza Europa”, quali gorghi della concorrenza che affogano l’insipiente orgoglio della mediocre imprenditoria “padana”.
Fuor di metafora, a proposito di invasioni, fu proprio “la calata” dei Tartari dalla Russia che determinò la caduta della dinastia Tang. La dominazione tartara durò quasi cinquant’anni alla fine della quale prese il potere la dinastia Sung (960-1279). L’imperatore Hui Tsung, grande letterato, un “Federico II” dell’Estremo Oriente, scrisse “Il Trattato del Tè”, nuovo manuale agro-alimentar-rituale che definì le regole della coltivazione, lavorazione e preparazione del tè. L’arte della porcellana divenne eccelsa, esplose la poesia e la pittura e con la stampa ormai consolidata, l’informazione ebbe una diffusione generalizzata. Gli effetti corroboranti ed euforizzanti del tè avevano colpito ancora, anticipando di otto secoli l’esplosione culturale artistica e politica delle generazioni psichedeliche occidentali che scambiarono la caffeina con LSD.
Quest’epoca raffinata e illuminata era però destinata a finire. L’invasione delle tribù mongole guidate da Gengis Kan dilagò in tutta la Cina, distruggendo città e campagne. Ciò nonostante, come ci racconto Marco Polo, famoso viaggiatore, mercante e scrittore veneziano, non fu mai abbandonata la cultura del tè che veniva consumato alla corte di Qubilai Kan nipote di Gengis, erede al trono cinese che reggeva con dispotica decisione e crudele governo. Come le orgogliose coorti del Senato e del Popolo Romano conquistatrici dell’Attica, rimasero succubi dell’antica e raffinata cultura ellenica, così il rozzo dominio mongolo non poté fare a meno della sensibilità aristocratica propria della cultura del tè.
Con Qubilai Kan inizia la nuova dinastia Yuan che nel 1368 fu abbattuta dalla rivolta guidata dall’ex monaco buddista Zhu Yuan Lang, fondatore della città di Nanchino e capostipite della più famosa dinastia Ming (1368-1644).
La preparazione del tè raggiunse la perfezione che conosciamo oggi con l’infusione delle foglie nella teiera che diventò accessorio indispensabile e il colore della bevanda veniva esaltato versandolo nelle tazze di porcellana bianca, talmente fine che la luce vi filtrava attraverso. Lo sviluppo economico di questo periodo è ancora una volta legato alla produzione e consumo del tè, il quale determinò quello che oggi chiameremmo economicisticamente “indotto”, cioè l’industria e il commercio di vasellame, grazie anche alla scoperta di giacimenti di caolino e di feldspati(6) nella regione dello Janxii. Iniziarono le prime esportazioni di tè. Le popolazioni dei grandi altopiani dell’Asia Centrale, dalla Siberia al Tibet, diventarono grandi consumatori di tè preparato in varie versioni: mescolato al latte ancora oggi è una bevanda corroborante, oppure nelle zone aride con caglio di latte e verdure è un importante integratore alimentare contro lo scorbuto, grazie alla presenza di glutine ma anche di vitamine, magnesio e potassio ed inoltre si evitava di bere acqua non bollita, tra quelle popolazioni in cui è decisivo per la sopravvivenza in mancanza di risorse idriche se non addirittura inquinate. Le attività commerciali vennero intensificate grazie anche all’uso del tè come moneta di scambio che, a differenza delle monete d’argento o le banconote, aveva la particolarità, quando tutto mancava, di essere bevuto o mangiato.
Sempre durante la dinastia Ming, il tè giunse per la prima volta in Europa nel 1610 ad opera della Compagnia delle Indie Orientali olandese. Con l’ultima dinastia cinese Ch’ing (o Mancia, 1644-1912), il tè si diffuse in tutto il mondo.

GLI UTENSILI: L’ARTE DEL TE’

Abbiamo visto che le varie tappe del percorso della civiltà cinese sono state scandite dai diversi modi di preparare e consumare il tè che determinarono anche cambiamenti di stile nella porcellana e nella fabbricazione degli utensili necessari alla preparazione, dando vita ad una vera e propria arte. Si iniziò col preparare il tè in contenitori a forma di bottiglia o in recipienti dal manico lungo simili a vecchi scaldaletti inglesi. Il piattino, per esempio, non esisteva nei servizi da tè; fu la figlia dell’imperatore Te-Tsung (674-801) ad inventarlo. Come tante invenzioni, il piattino si rese necessario perché si racconta che la ragazza era solita servire il tè a suo padre l’imperatore, ma aveva difficoltà a porgergli la ciotola piena della bevanda senza scottarsi le mani. Allora, prima provò con un vassoietto di metallo, ma la ciotola scivolava e tutto il suo contenuto non raggiungeva mai la regal bocca, con maestoso disappunto e principesca perplessità del sovrano-padre. Allora la povera principessa ebbe un’idea (come sempre, fin dall’età della pietra, sono le donne a risolvere quei piccoli problemi quotidiani che hanno fatto grande la storia dell’uomo), dapprima pensò di far aderire la ciotola sul piattino con la cera ma risultò un metodo ancora poco pratico, poi, “tignosa”, incaricò un fabbricante di lacche di stampare nel centro del piattino un bordo circolare abbastanza largo da contenere il fondo della ciotola. Ce l’aveva fatta! Era nato il primo piattino da tè. Il bricco e la teiera nacquero diversi secoli dopo, probabilmente per aver lasciato la soluzione del problema nelle mani dell’autistica incapacità maschile, ma questa è un’altra storia. Fu sotto la dinastia Ming che finalmente il bricco prese il posto della bottiglia e la teiera quello del “chien”, una grande ciotola poco profonda in cui veniva preparato e bevuto il tè. Il termine “bottiglia” rimase sempre ma si riferiva ad un contenitore in pesante gres scuro, lo “yi-hsing”, usato per conservare il tè.
Nel diciassettesimo secolo gli europei ormai entrati spudoratamente in contatto con la cultura cinese, ignari dell’evoluzione dell’utensileria del tè, cercarono di copiare in tutti i modi questa antica bottiglia, sbizzarrendosi nella scelta dei materiali come ceramica, legno, avorio e perfino tartaruga, chiamandola “tea caddy” da un’antica misura cinese. I cinesi, “ per aspera ad astra”(7), esportavano in Europa ceramiche di rara bellezza ma gli occidentali, soprattutto inglesi e loro derivati ne modificavano la forma adattandola ai loro gusti dando spunto già da allora ai cinesi su come copiare le invenzioni altrui, cosa di cui oggi si lamentano tutti gli stilisti europei alle prese con la contraffazione e la difesa del copyright.

……continua.
Nella prossima puntata:
-  la civiltà del tè in Giappone
-  la cerimonia del tè
-  la filosofia del tè: il Teismo

Note:

(1) locuzione in lingua latina che, in italiano diventa una locuzione avverbiale.
La sua etimologia corretta è: secondo il costume (mōre) matrimoniale (uxōrio). Intende: Come marito e moglie; di uomo e donna che, pur non essendo sposati, convivono, vivere (o convivere) more uxorio

(2) termine botanico del tè dato per la prima volta da Linneo- Carl Nilsson Linnaeus , divenuto Carl von Linné in seguito all’acquisizione di un titolo nobiliare e noto ai più semplicemente come Linneo (dalla forma latinizzata del nome Carolus Linnaeus) (23 maggio 1707 – 10 gennaio 1778) è stato un biologo svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica.

(3) Metrica classica : definizione di quel particolare insieme di regole ritmiche operanti nella versificazione e nella cosiddetta prosa ritmica della letteratura greca e latina dell’età antica, basata sul principio dell’alternanza, secondo schemi prefissati, di sillabe lunghe e brevi (metrica quantitativa

(4) trad.: spoglia il vino nel filtro, e, s’è così breve la nostra via,
lunga non la voler tu la speranza-Quinto Orazio Flacco (Venosa, 8 dicembre 65 a.C. - Roma, 27 novembre 8 a.C.) fu un poeta latino.

(5) tempesta e impeto è stato uno dei più importanti movimenti culturali tedeschi e convenzionalmente lo si colloca tra il 1765 e il 1785 anche se ciò non è completamente esatto. Prende il nome dall’omonimo libro pubblicato nel 1776 da Maximilian Klinger. Lo Sturm und Drang contribuì, assieme al Neoclassicismo, alla nascita del Romanticismo tedesco. Alcuni storici della letteratura e germanisti sostengono la possibilità di includere lo Sturm und Drang assieme al Neoclassicismo e al Romanticismo in un movimento culturale più ampio e complesso definito spesso Età di Goethe (1749 - 1832), basandosi anche sulle considerazioni che nel 1830 il tedesco Heinrich Heine fece sul periodo appena trascorso.

(6) Il caolino è una roccia costituita prevalentemente da caolinite, un minerale silicatico delle argille. Il caolino ha un aspetto terroso e piuttosto tenero ed è prodotto dall’azione dell’acqua sul feldspato. È solitamente bianco, anche se talvolta assume colorazioni arancio o rossicce per la presenza di ossidi di ferro.Per il suo colore, e in virtù del suo basso costo, viene largamente usato nell’industria cartiera per riempire gli spazi della cellulosa e dare brillantezza e uniformità alla carta. Molto usato anche nell’industria ceramica. È altresì utilizzato nella produzione di coloranti per alimenti, di dentifrici e nell’edilizia. Feldspato è il nome di un importante gruppo di minerali che costituiscono probabilmente il 60% della crosta terrestre. I feldspati si cristallizzano dal magma sia nelle rocce intrusive che in quelle effusive; sono anche presenti in molti tipi di rocce metamorfiche e sedimentarie.Il nome deriva dal tedesco Feld campo, e Spath, termine che indica in modo generico un minerale a struttura laminare.

(7) «attraverso le asperità alle stelle» - senso traslato «il successo si ottiene solo con la fatica».

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