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Il difficile rapporto tra Acqua e agricoltura: la soluzione esiste, la biodiversità

Il Biologico da solo non basta, occorre un cambio di modello - di Fiorenzo Testa

28 agosto 2020

Acqua e pesticidi

I dati contenuti nel rapporto annuale dell’ISPRA è impietoso: nel 2018 sono stati trovati residui di pesticidi nel 77% dei punti di campionamento delle acqua superficiali e nel 36% delle acqua sotterranee. Questi dati sono in costante aumento: nel 2016, la presenza dei pesticidi si rilevava nel 67% dei punti di campionamento delle acque superficiali e nel 33% delle acqua sotterranee; nel 2014 nel 63,9% delle acqua superficiali e nel 31,7% di quelle sotterranee; nel 2012 rispettivamente il 56,9% e il 31%. L’effetto accumulo ha registrato in 6 anni dal 2012 al 2018 un aumento del 35% dei punti contaminati delle acqua superficiali e del 14% delle acqua sotterranee.
Di fronte al problema c’è già chi propone l’aumento dei limiti di tolleranza dei principi attivi dei pesticidi nelle acque, cioè nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma non dobbiamo dimenticare che l’acqua è un bene comune e deve essere mantenuto pulito per tutti i cittadini presenti e futuri.

Il problema quindi va risolto a monte: risolvere la questione pesticidi e in generale della chimica in agricoltura, non significa avere solo acqua pulita ma anche cibo di qualità.

L’agricoltura biologica è l’unica tecnica di produzione primaria che, oltre ad essere certificata, viene riconosciuta dalle politiche agricole degli Stati, dalla stessa Unione Europea e nel Mondo. Ma questo ha spinto gli stessi agricoltori che hanno fatto questa scelta da tempo ad avere un atteggiamento critico sulla diffusione e sul futuro del biologico.

La storia agricola italiana che poi è la stessa storia dell’economia politica italiana ci ha insegnato che il passaggio che c’è stato tra l’economia agricola a quella industriale non ha determinato l’abbandono puro e semplice dei campi in favore delle città, ma sopratutto la perdita di quella cultura agricola mezzadrile degli anni 50 che faceva della cura del territorio rurale un pilastro fondamentale per la stabilità degli assetti idrogeologici di cui beneficiavano anche i territori urbanizzati.
Già nella seconda meta del secolo scorso (900) il paesaggio rurale dell’Italia del boom economico, si è trasformato radicalmente, dall’esodo contadino e la fine della mezzadria determinata dalla Riforma Agraria del 1964. I filari non più curati e ormai improduttivi vengono eliminati, le siepi e gli alberi divenuti un ostacolo per le macchine e per le infrastrutture di urbanizzazione, vengono abbattuti; i dossi, i dislivelli, i terrazzamenti, vengono spianati. Insomma le pratiche agricole, attente a custodire e a migliorare il territorio ricevuto in eredità dai padri e dai nonni, frutto di una sapienza plurisecolare che può essere sintetizzata nel detto:"Chi ha letame non avrà mai fame", sono state sostituite da un’agricoltura di corto respiro, volta alle produzioni più remunerative, senza nessuna preoccupazione degli effetti sul suolo e sulla fertilità. Quello che si fotografa oggi nei territori collinari e pedemontani ancora coltivati, è la completa mancanza di manutenzione ambientale delle aree rurali.
Da questo quadro desolante bisogna ripartire per un risanamento del territorio e questo compito può essere affidato soltanto all’agricoltura biologica, il cui valore aggiunto non può essere misurato in termini di profitto, di produzione, di consumo, ma in termini di risultato ambientale, che risponde a parametri valutabili sulla base della biodiversità e della stabilità degli agrosistemi.
L’attenzione alla biodiversità, sia delle colture sia della vita del terreno e degli ambienti
che costituiscono la cornice naturale (fossi, scarpate, aie, siepi, terrapieni, strade di terra, ecc.) delle aree coltivate, deve tornare ad essere una necessità vitale come lo era prima dell’era consumistica, prima di tutto per gli stessi agricoltori e, a cascata, per il territorio rurale e urbano, per l’assetto idrogeologico il cui collasso che sta travolgendo letteralmente intere città ad ogni fenomeno meteorologico previsto o imprevisto. Oggi la manutenzione del territorio e l’attenzione alla biodiversità vengono considerati un onere non remunerativo e non riconosciuto. Ebbene l’agricoltura biologica ha bisogno di fare un salto di qualità e questo può essere garantito solo da una modifica sostanziale del modello: coltivare la biodiversità.
Molti sono i benefici sia della biodiversità delle colture che della biodiversità ambientale: difesa idrogeologica, efficienza depurativa, miglioramento delle falde idriche, economia ed accumulo nel suolo della risorsa idrica: basti pensare che 1 Kg di humus può trattenere 10 litri di acqua. E poi l’habitat di rifugio della fauna utile, garanzia della capacità di resilienza della rete ecologica, benessere della salute psico-fisica sia degli operatori che dei frequentatori, gradevolezza del paesaggio, motore delle attività agroturistiche e gastronomiche. E’ chiaro che questo modello non può avere come riferimento un sistema economico basato sul profitto e sul consumo indiscriminato ma bisogna ribaltare il paradigma che ci ha portato a tutto questo,

Siamo partiti dall’acqua e ad essa dobbiamo tornare, proprio perché oltre ad essere la fonte di vita su questo pianeta è anche il simbolo concreto del ribaltamento del paradigma profitto-economia di consumo-finanza-pensiero unico, nel nuovo modello: giustizia-economia solidale-comunità-democrazia.

Nettuno, 28/08/2020
Fiorenzo Testa

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