"Acquadolce"
 

“Elogio” della bottega

24 novembre 2008

Che cosa sono i centri commerciali, se non la prosecuzione dell’idea ottocentesca dei grandi magazzini? Un luogo, cioè, dove non si va per comprare quello che serve, ma viceversa per sapere cosa c’è da desiderare. Non per niente lo stesso concetto lo troviamo espresso, per esempio, da Emile Zola ne’ “Al paradiso delle signore”( Au bonheur des dames): l’inversione culturale che nasceva dal costume di andare in un posto non per comprare ciò che ti serve, ma per guardare le cose e scoprire ciò di cui hai bisogno. Nasce così l’idea che non esiste nessuna mediazione per arrivare a soddisfare i propri desideri.

La stessa cultura “romantica” che fondava la sua passione impetuosa nel raggiungimento del desiderio inarrivabile ( sturm und drang), presupponeva la necessità di consolare quello stesso desiderio non realizzato, non serve più, decade ogni conflitto tra l’idea e la sua materializzazione , il divenire di hegeliana memoria, si scontra con l’irrazionale della vastità dell’offerta dove esiste solo l’imbarazzo della scelta. Decade, appunto, il senso della mediazione, tutto è possibile, si scavalca il limite tra realtà e fantasia, entrando nel mondo del surrogato, dell’“effimero”, azzerando qualsiasi tipo di “mediazione” culturale.

I centri commerciali sono la realizzazione in termini di merci del generale decadimento culturale, della deformazione del soggetto sociale. Le persone che hanno in testa una gerarchia culturale non si trovano a proprio agio in un centro commerciale. Se invece non sai distinguere un oggetto d’arte da una copia, per esempio, o non riesci a percepire la differenza tra buon gusto o cattivo gusto, allora il centro commerciale è un paradiso, o il rifugio di una piccola borghesia decadente senza più voglia di pensare, senza più voglia di esercitare quel “libero arbitrio” dall’antico sapore di “riforma”. Uno dei segreti del centro commerciale è “l’interclassismo” merceologico, il fatto che diano, a un prezzo basso, l’illusione del lusso, l’impressione di poter accedere ad una fetta di ricchezza e “sciccheria”, è una piccola apoteosi dell’illusione di poter vivere da ricchi. E poi nel centro commerciale puoi fare tante cose contemporaneamente, telefonare e mandare messaggi mentre fai la fila, fotografi una cosa per mandarla ad un’amica, puoi mandare un amico a prenotare il ristornate, intanto scambi quattro chiacchiere con l’amica che sta chattando nel frattempo con un’altra amica per darsi un appuntamento per il cinema che inizierà tra poco . Insomma hai l’illusione di vivere in “multitasking”, quella inebriante sensazione di “star a fare”, di riempire un vuoto, un modo per scacciare il pensiero dell’orrore per la vacuità della tua vita.

La bottega (commerciale o artigiana) è la dimensione sobria del ritmo e dell’armonia dei tempi umani, del ciclo naturale delle cose, dello scambio dell’informazione, del confronto, della trattativa. La bottega è il simbolo della naturalità dell’essere, della criticità della scelta, della rappresentatività della “classe” di appartenenza. Quando vai in bottega hai già in mente cosa ti serve e non puoi farti deviare le tue scelte, anzi puoi discuterne con qualcuno che ti ascolta, non devi esercitare il tuo libero arbitrio di fronte ad uno scaffale soverchio di “desideri” e povero di “utilità”. In bottega ci vai per soddisfare i tuoi “bisogni” di classe e non le tue “aspirazioni” di classe . In bottega sei quello che sei, non subisci nessuna “deformazione” culturale senza volerlo, mantieni il senso della misura, eserciti la tua capacità di giudizio, difendi la tua responsabilità di consumatore, la qualità dei prodotti, la dignità del lavoro. La bottega è un altro modello di sviluppo, è la base per la costruzione di un’economia diversa, che non ha il mito della crescita, che non si basa sulla competizione ma sulla collaborazione. Ogni bottega ha una sua “specializzazione”, una sua “ricerca” della qualità, che differenzia la “merce” dal “bene”. In bottega ogni “bene” è frutto di una crescita culturale individuale e collettiva, per dare un prodotto “fatto col cuore”, con la generosità dell’”offrire” e non con la cupidigia del “vendere”. In bottega non troverai mai nessuno che ti vuole convincere a comprare una cosa che non ti serve, se già non hai scelto tu di farlo. La bottega è diversità, allegria, freschezza. Il centro commerciale è omologazione, grigiore, vuoto.

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