"Acquadolce"
 
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RELAZIONE SULLO STATO DI CRISI DELLA GESTIONE DEL S.I.I. E LE ALTERNATIVE DETERMINATE DAL VOTO DEI REFERENDUM DEL 12 E 13 GIUGNO 2011 PER ANZIO E NETTUNO

27 luglio 2011

Il Comitatao Acquapubblica Anzio-Nettuno presenta la relazione sulla gestione privatistica fallimentare del S.I.I. nelle città di Anzio e Nettuno, curata dall’Associazione Acquadolce, in occasione degli incontri con le forze politiche dei due Consigli Comunali. La relazione percorre, per grandi linee, tutte le tappe dalla nascita ad oggi della privatizzazione del Servizio idrico nell’ATO 4, dimostrando il completo fallimento di questa scelta scellerata e contraria ai principi di economia, efficienza, efficacia, nonché illeggittima e priva dei requisiti di trasparenza. La realzione analizza inoltre la necessità di sottrarre la gestione dell’acqua al mercato e indica le alternative per iniziare il processo di ripubblicizzazione così come determinato dai referendum del 12 e 13 giugno 2011.

1. Fallimento del modello di gestione privatistica del S.I.I.

1.1.PREMESSA

I referendum del 12 e 13 giugno 2011 hanno sancito definitivamente il fallimento del sistema liberista di gestione dei servizi pubblici, a partire dalla gestione del S.I.I.. Partiamo dalla cronologia della costruzione politico-giuridico-amministrativa del “modello Acqualatina”.

• Legge 36 del 94 “legge Galli”, istituzione del Servizio Idrico Integrato (SII).

• LEGGE REGIONALE L.R. 22 Gennaio 1996, n 6 recepimento Legge Galli e definizione degli ATO (Ambiti territoriali ottimali)- per le nostre zone viene istituito l’ATO4 Lazio meridionale-Latina del quale fanno parte 38 comuni

• Convenzione di cooperazione tra i 38 comuni approvata da tutti i comuni ognuno con atto deliberativo del consiglio comunale.

• Tra il 2000 ed il 2002, avendo l’ATO4 deciso di affidare il SII ad una società mista 51%-49% (vedi art.13 c1 convenzione di cooperazione) è fatta la gara per la selezione del socio privato.

• Tutto l’iter della gara è molto sofferto. Non c’è accordo nella commissione giudicatrice e la Severn Trent, concorrente di IDROLATINA (ditte private in Acqualatina), presenta ricorso al TAR.

• Il TAR non accoglie il ricorso. Viene sancita l’aggiudicazione della gara ad IDROLATINA.

• Il 9 Aprile 2002 la Conferenza dei sindaci approva la Convenzione di gestione per il SII (senza la ratifica nei consigli comunali come previsto dalla LR6/96 e dall’art.17 della Conv. di Cooperazione) lo statuto della nascente società mista, i patti parasociali.

• La convenzione di gestione approvata (contratto di servizio) cambia in molte parti rispetto a quella prevista dalla legge regionale, emessa con deliberazione della giunta regionale Delibera giunta regionale n. 6924 del 4-9-1997 Convenzione tipo SII. Tali differenze di fatto sono a favore del gestore, poiché lo tutelano oltre modo se non riesce ad onorare il contratto. Con l’art.17bis, per esempio, si prevede in ogni modo di assicurare l’equilibrio economico-finanziario del gestore.

1.2 IL CONTROLLO SOCIETARIO DI FATTO, PRIVATO SU PUBBLICO: LA POLITICA ESEGUE IL VOLERE DEI PRIVATI!

Approvando l’atto costitutivo i Sindaci approvano anche lo statuto della società. Tale atto è fondamentale perché di fatto detta le regole del gioco nel controllo societario, e i privati con quello statuto comandano più del pubblico. I Sindaci presenti sono autorizzati a sottoscrivere la Convenzione, ma non sono autorizzati dai C.C. a costituire la società. Tale atto oggi è stato impugnato davanti al tribunale civile di LATINA- (rito societario R.G. 5694/2006) attraverso azione popolare sostitutiva (art.9 del TUEELL). Da notare che presidente della società viene nominato il Presidente della Provincia che è anche presidente dell’ATO. Questa incompatibilità viene stigmatizzata dai giudici con sentenza (sentenza N. 2369-04 Tribunale civile LATINA su conflitto interesse di MARTELLA. IL 2 Agosto 2002 viene stipulata la Convenzione di gestione tra il Presidente della Provincia LT (anche presidente dell’ATO per legge regionale) e la società Acqualatina (tale atto non è ratificato come previsto dai consigli comunali: art.17 della convenzione di cooperazione). Il 1 Gennaio 2003 la società inizia a gestire gli impianti di molte città, anche se le concessioni d’uso degli impianti sono avvenute senza deliberazioni dei Consigli Comunali. Con atto n.1/2003 la conferenza dei sindaci decide di utilizzare i canoni di concessione per gli uso degli impianti, pagati da Acqualatina, pari a 1.549.371 euro, per capitalizzare le quote della parte pubblica della società. Praticamente, siccome i comuni non hanno denaro per mettere il 51% di capitali, chiedono alla Provincia di accendere un mutuo alla Cassa DD.PP. di 13.485.722,55 che pagheranno con i canoni concessori.

1.3 I PROBLEMI FINANZIARI SCARICATI SUI COMUNI E SUGLI UTENTI

Nei primi 2 anni di gestione le società lamenta il mancato rispetto dell’equilibrio economico-finanziario. Sostiene che i metri cubi erogati sono molto diversi da quelli fatturati, per dispersione fisica ed amministrativa. Lamenta che i costi di gestione (causa alto costo energia elettrica) sono molto superiori a quelli previsti e che la tariffa riscossa non copre i costi di gestione, pertanto mette in mora l’ATO. A questo punto il 16 Aprilie 2004, l’ATO sigla un accordo capestro (Accordo 16-4-2004) nel quale rinuncia ai canoni di concessione impianti per gli anni 2003-2004-2005 e si prevede apposita revisione tariffaria per il triennio 2005-2006-2007. Successivamente il 12 Luglio 2004 l’ATO procede anche ad un aggiornamento tecnico del piano interventi (variazione piano interventi), poiché il gestore non è riuscito a mantenere quanto previsto nel piano in convenzione. La delibera che approva tale modifica è aspramente criticata e vi si oppongono diversi sindaci ed in particolare il sindaco di Sabaudia parla esplicitamente di illegittimità ed illegalità e fa allegare alla delibera un suo documento. 27 Settembre 2005. Per non aumentare la tariffa l’ATO (o meglio i comuni) si accollano un debito di 14,7 milioni di euro (Articolazione tariffa 2005). A tale debito ancora una volta dovrebbe far fronte la Provincia, accendendo un mutuo da scaricare poi sui comuni. Nel 2006 le cose ancora non vanno bene e come riconosciuto dall’ATO, per problemi di interpretazione del testo sugli enti locali, il debito-prestito di 14,7 milioni di euro non può essere erogato al gestore.
Di fatto i sindaci in conferenza si erano assunti il debito in nome e per conto dei comuni, senza poi assumerlo a bilancio degli enti comunali. 14 Luglio 2006 l’ATO decide di tagliare la testa al toro ed approva un’intera revisione del PIANO D’AMBITO: convenzione di gestione, piano economico, piano interventi, regolamento di servizio, disciplinare tecnico, modello gestionale, tariffe automatiche fino al 2012, etc. Di fatto la conferenza dei sindaci ATO4, il 14/7/2006, ha modificato la convenzione di gestione con la società, rendendola ancora più a favore di Acqualatina e diminuendo le garanzie per gli utenti. Non si prevede più nella nuova stesura né la consegna della carta dei servizi ad ogni utente né la consegna del regolamento un mese prima dell’invio della prima fattura (nel caso di acquisizione di nuovo comune).

1.4 INTERVENTI DELLA MAGISTRTATURA

Nel frattempo c’è stata una sentenza TAR del Lazio sez. Latina che ha dichiarato illegittima la quota fissa utilizzata per la tariffa 2005 ed un’ordinanza d’urgenza del giudice civile che ha giudicato vessatorie 9 clausole contrattuali. Di fatti la manovra del 14 luglio serviva per permettere, come si legge nel bilancio 2005, ad Acqualatina di assumere un prestito ponte di 35 milioni di euro per rimpinguare le casse ormai a secco e un successivo prestito di 100 milioni per avviare gli investimenti significativi sulle opere idriche. Il 25 Gennaio 2007 la Provincia traduce in fatti le decisioni del 14 Luglio e stipula con Acqualatina l’atto aggiuntivo al contratto dell’Agosto del 2002. Difatti il contratto viene riscritto per intero inserendo le modifiche votate il 14 Luglio. la Regione Lazio con delibera di giunta dichiara il contratto del 2002 non conforme alla legge regionale. Il 23 Febbraio del 2007 Il TAR Latina emette le sentenze n.134,135,136 rispetto ai ricorsi della Provincia contro le delibere di non approvazione del contratto del 2002 tra ATO4 ed Acqualatina. Le tre delibere sono annullate, perché in sostanza dice il tribunale andavano motivate rappresentando motivi di legittimità più che politici. In ogni modo finalmente il TAR riconosce che i comuni hanno dei poterei sugli atti dell’ATO e possono approvare/non approvare gli atti fondamentali che decide la conferenza dei sindaci. Il Tribunale ha affermato che:
“ Alla luce della previsione degli artt. 5, l.r. n. 6/1996 e 17 della convenzione di cooperazione – riproducente, quest’ultimo, una previsione recata dallo schema allegato alla legge regionale n. 6 – risulta, dunque, l’attribuzione agli organi consiliari del potere di approvazione delle convenzioni di cooperazione e gestione” e che “questo potere di approvazione degli organi consiliari degli enti facenti parte dell’ambito ottimale è un dato di fatto giuridico dal quale non è possibile prescindere; il potere di approvazione degli organi consiliari è infatti espressamente previsto dalla legge regionale (art. 5) e dalla convenzione di cooperazione (art. 17, c.3), quest’ultima, a sua volta, riproduttiva, si ripete, di una norma che, ancorchè non contenuta nell’articolato della legge regionale n. 6, è pur sempre prevista dallo schema di convenzione allegato alla legge, di cui costituisce parte integrante e con la quale condivide la fonte di produzione. Né appare persuasiva l’interpretazione “riduttiva” di tali previsioni secondo cui esse avrebbero il significato della assunzione da parte dei soggetti pubblici costituenti l’ATO di un vero e proprio impegno ad approvare la convenzione; in questo modo, l’approvazione sarebbe un “atto dovuto” diventando però un atto sostanzialmente inutile, che nulla aggiungerebbe alle convenzioni, peraltro già efficaci per espressa disposizione di legge, e che finirebbe per privare di contenuto precettivo le relative norme.”
Ed inoltre:
“E’ più corretto ritenere invece che, in forza delle citate clausole, agli organi consiliari degli enti costituenti l’ATO sia attribuito un vero e proprio potere di approvazione della convenzione (di cooperazione e/o di gestione e delle relative modifiche) stipulata sulla base dello schema predisposto e approvato dagli enti convenzionati attraverso la conferenza dei Sindaci e dei Presidenti delle province” e che “Una volta ammesso che un potere di approvazione della convenzione di gestione in capo ai consigli degli enti locali costituenti l’ATO esiste, perché normativamente riconosciuto, è giocoforza ammettere che esso implichi anche un potere di “disapprovazione” della convenzione. Il potere di approvare infatti logicamente include quello di non approvare; e del resto, se i consigli fossero necessariamente obbligati ad approvare, tale atto – lo si ripete - non avrebbe alcuna concreta rilevanza e le relative clausole normative sarebbero passibili di un’interpretazione contraria alla costituzione perché svuotate di significato e portata precettiva.”.

1.5 CONTENZIOSO PROVINCIA CONTRO REGIONE

Nel Luglio del 2006 la Provincia di Latina aveva chiesto alla Regione Lazio di esercitare i poteri sostitutivi previsti nella legge regionale 6/96 (Legge Regionale che recepiva la legge Galli) per obbligare i comuni ad approvare e ratificare la convenzione di gestione (contratto di servizio con il gestore). La Regione non aveva risposto. Allora la Provincia promuove ricorso contro il silenzio della Regione e nei confronti dei Comuni di Aprilia, Cori, Amaseno che non approvato il contratto di servizio e contro Bassiano, che non aveva consegnato le reti. La Regione Lazio interviene nel ricorso con l’avvocatura della stato ed il 26 mattina deposita in udienza una la delibera n.44 con la quale la giunta regionale ritenendo che la convenzione di gestione ATO4 è difforme da quella tipo prevista nella legge regionale 6/96, dice che non eserciterà i poteri sostitutivi. A questo punto il tribunale prende atto del mancato silenzio e delle motivazioni della regione e fissa nuova udienza a data da destinarsi!

1.6 CONTENZIOSO ACQUALTINA CONTRO I CITTADINI

L’associazione ADICONSUM ricorre al TAR per chiedere l’annullamento della tariffa 2005, perché ritiene che è impostata male ed in particolare che la quota fissa della tariffa non può essere messa. Con sentenza 406-2006 TAR LATINA ADICONSUM su articolazione TARIFFE 2005, il TAR accoglie in parte le istanze della ricorrente e dice che la quota fissa non può superare tre volte l’ex nolo contatore (circa 9 euro) e che comunque la tariffa va riformulata. Si tenga presente che ciò che viene a mancare dalla quota fissa non può essere tutto recuperato con la parte variabile perché vi è un parametro K che fissa il limite di aumento
L’ADICONSUM a fine ottobre 2006 ha presentato ricorso al TAR per chiedere la sospensione e l’annullamento delibera ATO4 del 14 luglio 2006, con la quale veniva cambiato il piano d’ambito ed approvata tariffa 2006. L’associazione Cittadinanzattiva promuove causa ad Acqualatina utilizzando il Codice del Consumo, ritenendo vessatori i comportamenti di Acqualatina. La società ha mancato nell’iter contrattuale due cose importanti: consegna dei contratti tipo un mese prima della prima bolletta (art.55 Regolamento del servizio idrico) ed invio carta dei servizi (art. 9c3 convenzione di gestione). In data 13 Luglio 2006 il giudice monocratico Dott. LOLLO -TIBUNALE di LATINA-ha emesso l’ordinanza nrg 425-2006 , a seguito della causa proposta da Cittadinanzattiva contro Acqualatina SpA e, riconoscendo “i giusti motivi di urgenza, quanto meno nell’esigenza di evitare che contratti ritenuti vessatori, ad alta diffusività ed imposti da un contraente-professionista (indifferentemente persona fisica o giuridica, pubblica o privata) che agisce in condizioni sostanzialmente monopolistiche, continuino a spiegare efficacia e soprattutto ad essere stipulati o quantomeno imposti per ‘facta concludentia’, in danno di interessi dei consumatori con caratteristiche di essenzialità"...“riguardante un diritto fondamentale della persona quale quello della somministrazione di acqua per la soddisfazione di intuibili quanto elementari ma insostituibili esigenze di vita” ha inibito “ad Acqualatina S.p.A. l’uso delle clausole nn.9, 10 ,14 ,16 ,17, 25 ,26 ,27 ,28 , del Regolamento del SII”.In pratica il Giudice ritenendo di dover agire d’urgenza, ancor prima di emettere la sentenza di merito, ha vietato a Acqualatina SpA di utilizzare clausole contrattuali mai espressamente sottoscritte dagli utenti e ritenute vessatorie quali:
- penale di 100 euro in mancanza di comunicazione del subentro di utenza;
- sospensione della somministrazione del servizio dopo 2 fatture non pagate;
- risoluzione del contratto da parte del Gestore senza ricorso all’autorità giudiziaria;
- cambio del contatore da parte del Gestore quando lo ritiene opportuno e successivo onere a spese del cliente;
- piena discrezionalità riservata al Gestore di porre il contatore dove vuole salvo imporre poi al cliente di preservare il contatore da manomissioni;
- incremento del doppio del consumo addebitato a titolo di penale in caso di manomissione dei sigilli del misuratore.

Acqualatina ha presentato reclamo su tale ordinanza di giudice monocratico Dott. LOLLO. La I^ sezione civile del Tribunale di Latina- Presieduta dal Dott. PAPPAIANNI- in data 31 Ottobre 2006, ha emesso la decisione sul reclamo presentato dalla Acqualatina SpA, avverso l’ordinanza emessa dal giudice Dott. LOLLO in fase cautelare, ed ha confermato e ribadito la vessatorietà della clausole n.10,14,16,17,27,28. I giudici hanno dimostrato la piena vessatorietà della clausola 16 anche attraverso un esempio. Hanno scritto infatti che non si può staccare prescindendo dalle motivazioni dell’utente, ed hanno fatto solo a titolo d’esempio, il caso in cui l’utente ha una malattia. Proprio a confermare che non è possibile l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni da parte della società a prescindere dalle ragioni addotte dall’utente. Per la clausola 17, i giudici hanno ribadito che non ci può essere la risoluzione unilaterale del contratto, e di conseguenza il distacco, senza che la cosa sia vagliata dal giudice. Altrimenti l’utente si troverebbe a doversi appellare al giudice in una posizione subalterna, ciò dopo che la società ha già staccata l’utenza.
Anche se di fatto Acqualatina S.p.a. sta gestendo la nostra rete idrica, lo sta facendo in modo illegittimo poiché in definitiva non è stato approvato il contratto tra ente e gestore e tra gestore ed utente!

1.7 IL “CASO” NETTUNO

Il 9 luglio 2010 il Consiglio Comunale di Nettuno approvava all’unanimità una mozione sul Servizio Idrico Integrato (S.I.I.) che impegna l’Ente a riconoscere, tra le altre cose, nel proprio Statuto Comunale che l’accesso all’acqua è un diritto umano inalienabile, che la gestione del S.I.I. deve essere pubblica e senza rilevanza economica e di avviare un percorso che porti alla ripubblicizzazione del S.I.I. (vedi allegato n.1). Questa risoluzione è stata possibile dopo un percorso travagliato che è iniziato con la campagna del Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno, per una delibera di iniziativa popolare che ha portato 900 cittadine e cittadini di Nettuno a firmare senza indugio il documento. Dopo varie peripezie amministrative che hanno di fatto allungato i tempi per la discussione, a causa del mancato rispetto da parte del Sindaco e del Consiglio Comunale, delle scadenze fissate legalmente e statutariamente ( vedi allegato n.2), c’ è voluta la continua pressione del Comitato sugli esponenti politici a portare alla richiesta di un Consiglio Comunale straordinario da parte di sei consiglieri di maggioranza.
La reticenza della classe politica nettunese a parlare dei problemi del S.I.I. era probabilmente dovuta all’oblio in cui era caduto negli anni il problema della gestione del S.I.I. e di conseguenza alla mancanza di preparazione ( salvo alcuni vecchi esponenti politici) della nuova amministrazione sull’argomento. Possiamo dire, senza peccare di autoreferenzialità, che è stato il Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno, presente da pochi mesi sulla scena cittadina, a far parlare del problema “acqua” un Consiglio Comunale nettunese. Infatti i politici eletti nelle varie legislature in Consiglio Comunale non discutevano di “acqua” dal 2003, cioè da quando fu “passata” la gestione dal Consorzio Acquedotto di Carano ad Acqualatina S.p.a., senza nessuna delibera di approvazione di Consiglio Comunale, né allora né successivamente, della Convenzione di gestione, come previsto dalla legge Regione Lazio n.6/1999 (vedi allegato n.3). Fu deciso così, tacitamente, senza colpo ferire, passando sulla testa dei cittadini, che il S.I.I. doveva essere gestito da Acqualatina S.p.a.. Il Comitato aveva preparato quell’evento da mesi con una campagna di informazione e con assemblee pubbliche che spiegavano ai cittadini i vari e gravi problemi di inadempienza del gestore, convogliando, nella campagna di raccolta firme per la delibera prima e per i referendum poi, quel malumore collettivo, già latente, che percepiva, senza definirne ancora bene il significato e le modalità, la mala gestione dell’acqua in queste zone. La vicinanza delle battaglie apriliane che avevano ottenuto già un forte successo di popolo davano una mano alla causa anche nelle due cittadine di Anzio e Nettuno. Ma l’amministrazione Nettunese faceva finta di non sentire, non si presentava agli inviti delle varie iniziative pubbliche del Comitato, salvo qualche consigliere comunale più sensibile, dava mandato solo al Sindaco di rispondere a qualche comunicato stampa dei numerosi che il Comitato produceva, ma solo per polemizzare e non per costruire un rapporto o per avere un confronto. Fino a quando la vicenda dell’arsenico nell’acqua potabile non irrompe prepotentemente sulla scena politico-amministrativa. Anche in questo caso l’unico soggetto politico ad informare la cittadinanza su quello che stava avvenendo era il Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno che con varie iniziative ( conferenza Nettuno del 26 febbraio 2011 “Arsenico ce lo danno a bere”, poi replicata una settimana dopo ad Anzio) facendo intervenire tecnici e ricercatori per spiegare gli effetti dell’arsenico. Dopo le analisi delle acqua fatte dal Comitato e rese pubbliche (vedi allegato n.4), dopo la documentazione, resa pubblica, dei controlli delle ASL e dello steso gestore che rilevavano lo sforamento del parametro arsenico in vari punti di prelievo oltre i 10µ/litro, dopo varie denunce pubbliche ed esposti alla magistratura per le inadempienze del gestore e delle amministrazioni dei comuni dell’ATO4, il sindaco decide di pubblicare “un avviso” alla cittadinanza (vedi allegato n.5) che oltre ad essere tardivo non stabiliva nessun divieto e nessun provvedimento nei riguardi del gestore, neanche per le categorie a rischio che rimanevano tali anche in caso di deroga, (come invece aveva già fatto il Sindaco di Anzio) ma soltanto la riproduzione delle indicazioni della ASL ROMA H.
Insomma il problema per il Comune di Nettuno era sotto controllo, anzi il 16 luglio 2010, in piena emergenza arsenico, il Sindaco di Nettuno insieme al collega si Anzio, aveva firmato un protocollo di intesa con l’ATO 4 e Acqualatina per la gestione delle morosità e lo stanziamento di fondi comunali per la copertura delle bollette degli indigenti senza nulla chiedere al gestore (vedi allegato n.6). Il 14 dicembre 2010 il Sindaco di Nettuno (il Sindaco di Anzio era assente) insieme agli altri sindaci accondiscendenti ai voleri di Acqualatina S.p.a., all’ultima Conferenza dei Sindaci dell’ATO 4, vota a favore di tutte le risoluzioni presentate in assemblea senza chiedere nessuna spiegazione al gestore, senza contestare nessuna inadempienza. In particolare il Sindaco di Nettuno vota a favore delle delibere dell’ATO 4:
1) Proposta al Gestore di "Copertura dell’importo presuntivamente dovuto ai Consorzi di Bonifica, con i canoni di concessione - Approvazione dello schema di accordo" (Vedi allegato n.7);
2) Atto di citazione del Comune di Aprilia – Determinazioni (vedi allegato n.8).
Quindi il Comune di Nettuno di fatto da una parte non avanza nessuna ipotesi di contestazione delle inadempienze del gestore e avalla la situazione, dall’altra non vuole nessun tipo di confronto sul problema della gestione dell’acqua, anzi combatte tutte le forme di opposizione a questa mala gestione come quelle intraprese dal Comune di Aprilia, e tutto senza passare per la discussione in Consiglio Comunale come prevede la legge (vedi allegato n.9). Con l’arrivo della deroga da parte della Commissione Europea a 20µ/litro per l’amministrazione nettunese (e non solo) il discorso arsenico è completamente chiuso. Ma il Sindaco dimentica di applicare quello che la ASL RMH gli aveva sempre chiesto e prescritto e che lui stesso aveva riportato sul suo “avviso”, e cioè, anche in caso di deroga, l’ acqua andava vietata alle donne in gravidanza, ai bambini sotto i tre anni di età e alle aziende alimentari che preparavano i cibi con quell’acqua e ingiungere al gestore di provvedere al rifornimento alternativo dell’acqua potabile. Il Sindaco di Nettuno in qualità di responsabile della salute dei cittadini non teneva conto oltre che della legge, neanche delle raccomandazioni espresse dalle organizzazioni dei medici che ancora oggi sollecitano l’intervento delle amministrazioni locali (vedi il parere scientifico dell’EFSA di seguito allegato e vedi allegato n.10). Il risultato dei referendum del 12 e 13 giugno scorso ha finalmente definito quale è la volontà dei cittadini sulla gestione del servizio idrico, e dichiara inammissibile la remunerazione del 7% del capitale investito. Ma anche questo ad oggi non sembra scalfire in alcun modo le convinzioni del Sindaco e della sua maggioranza in tema di acqua. Per l’amministrazione nettunese, e non solo, i referendum non ci riguardano. Ad Anzio e Nettuno non cambierà nulla, stiamo bene così? Noi crediamo che il cambiamento già c’è stato e le amministrazioni locali dovranno farsene una ragione, altrimenti l’onda della partecipazione e della consapevolezza dei cittadini le spazzerà via.

1.8 “IL CASO” ANZIO

Il 23 febbraio 2007 il Consiglio Comunale di Anzio approva la Delibera n. 6 in cui decide di iniziare il percorso per la rescissione del “contratto” (mai approvato dall’Ente) con il gestore del S.I.I., chiedendo, tra l’altro, alla Giunta di “incaricare uno studio legale, per avviare i processi necessari all’uscita da Acqualatina” e di “non approvare la Convenzione per la gestione del SII ATO4…..” (allegato n.11). Lo “Studio Legale Avv. Francesca Graniti” incaricato di esprimere un parere legale sul problema della fuoriuscita da Acqualtina, (allegato n.12) definisce le ipotesi di percorso giuridico-amministrativo da applicare al caso. Il documento delinea in sostanza due ipotesi di percorso:
1) Sollevare, in sede di Conferenza dei Sindaci, il problema e ottenere la maggioranza dei voti per deliberare la decadenza del contratto con il gestore;
2) dichiarare unilateralmente la fuoriuscita dall’ATO 4 per accedere all’ATO 2 come conseguenza “naturale” per l’appartenenza territoriale del Comune di Anzio alla Provincia di Roma.
Il TAR del Lazio con sentenza del 6 agosto 2009, rigetta il ricorso della Provincia di Latina contro la delibera su menzionata, per delegittimazione dell’Ente ricorrente, perché: “non compete un autonomo potere di intraprendere iniziative davanti al giudice amministrativo per la verifica di illegittimità dei deliberati degli enti consorziati….” (allegato n. 13)
E’ da notare inoltre che la sentenza del Consiglio di Stato del 15 settembre del 2009 per il ricorso di Acqualtina S.p.a. e della Provincia di Latina contro il Comune di Aprilia proprio per una delibera dell’Ente che non aveva approvato il contratto di gestione con Aqualatina S.p.a., accogliendo l’appello dei cittadini e rigettando il ricorso, ha riconosciuto che: “…. la determinazione dell’organo consiliare dell’Ente locale non può essere ristretta nell’ambito sostanzialmente vincolato di mera soggezione alle scelte operate dalla Conferenza dei Sindaci e presidenti…” e che: “ …..la legge della Regione Lazio del 22 gennanio 1996 n.6 indica forme di cooperazione affidate allo strumento convenzionale, rispetto al quale la possibilità di un recesso è non solo astrattamente prevedibile, ma anche naturale e coerente con la natura del mezzo individuato dalle norme…..” Soltanto la Regione ha “la facoltà” di intervenire “sull’Ente restio o inerte rispetto all’impegno convenzionale” ed in ogni caso si tratta di: “…iniziativa soggetta alle discrezionali valutazioni della Regione…” Il Consiglio di Stato nella stessa sentenza ribadisce definitivamente che: “……..la libertà del singolo Comune di non impegnarsi ulteriormente nell’ambito territoriale di gestione dello specifico servizio deve ritenersi piena e non soggetta a restrizioni di sorta….” In definitiva, dicono i giudici del massimo grado amministrativo che non è possibile “…….escludere un potere di autodeterminazione degli anti locali presenti in un determinato territorio in favore di un’organizzazione (la conferenza dei sindaci
e presidenti) a questa stregua compressiva delle prerogative e delle capacità delle autonomie e finanche contrapposta all’Ente titolare della potestà di vigilanza e del connesso potere sostitutivo.”
A suffragare ulteriormente la capacità di decisone autonoma di un Comune, nonché la determinazione dei suoi cittadini, possiamo citare tante altre sentenze che hanno definito senza ombra di dubbio e senza la paura del “salto nel buio”, la capacità operativa, le reali azioni di controllo, il margine di autonomia gestionale dell’Ente locale e il controllo diretto degli utenti, in materia di servizi pubblici. L’ultima in ordine di tempo è l’ordinanza della Corte di Cassazione del 5 maggio 2011 contro l’arroganza e la velleità da parte del gestore del SII (Acqualatina S.p.a.) nel recuperare i crediti vantati a mezzo Gerit s.p.a azienda statale di riscossione delle imposte ( allegato n.14). Inoltre contro l’arroganza della politica che vuole a tutti i costi imporre soluzioni in difesa del profitto dei gestori dei servizi pubblici, esistono ulteriori esempi di determinazione popolare vincenti. Il Consiglio di Stato, ha respinto il ricorso dell’ATO 4 di Arezzo e del gestore del SII Nuove Acque s.p.a., per l’applicazione delle tariffe retroattive imposte ai cittadini, intimando di restituire 800 milioni di euro agli utenti vessati. (allegato n.15).

1.8.1 Il problema “arsenico”

L’11 febbraio 2011, con l’Ordinanza n. 3 (allegato n.16) il Sindaco Bruschini vietava l’uso dell’acqua alle donne in gravidanza, ai bambini sotto i tre anni e alle imprese alimentari, dopo che il Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno aveva denunciato lo stato di illegalità diffusa del gestore e dei comuni sul problema della presenza dell’arsenico nell’acqua potabile fuori dai limiti consentiti per legge. L’intervento del Sindaco non fu né energico né tempestivo. La presenza dell’arsenico in quantità superiori ai 10µ/l era un problema antico almeno di 9 anni e mai risolto né dalla politica e né dal gestore privato che, come tutti i gestori privati d’Italia, aveva promesso fiumi d’investimenti, qualità eccellente, costi bassi. Ma niente di tutto questo è successo e la maggioranza dei politici ha continuato a chiudere gli occhi, a tapparsi le orecchie, turarsi il naso e……… a chiedere voti. Dopo due deroghe concesse dal Governo italiano, scadute a ottobre 2010, si aspettava la terza deroga dalla Commissione Europea, che non arrivava, perché il gestore pretendeva di elevare i limiti di arsenico a 50µ/l, contro la salute dei cittadini, contro qualsiasi prescrizione medica, contro qualsiasi regola di civile convivenza, contro il buon senso. Questo per i cittadini e per l’Europa era troppo! Soltanto i comitati dei cittadini si sono mossi per informare la gente sui danni provocati dall’arsenico, distribuendo migliaia di volantini, producendo e inoltrando decine di documenti, commissionando a proprie spese le analisi delle acque (che confermarono i sospetti), organizzando due conferenze sul problema con esperti di livello internazionale, invitando a partecipare i Sindaci, le giunte, i consiglieri comunali. Ma della politica, a parte qualche presenza silenziosa, neanche l’ombra!
Purtroppo le ricerche mediche sono avanzate e inconfutabili come recitano i documenti che l’EFSA (European Food Safety Authority) aveva prodotto e distribuito (allegato n.17), e tutto è stato reso pubblico dai Comitati che tra l’altro continuavano e continuano a denunciare la mancanza di chiarezza delle amministrazioni, l’attendismo e la debolezza nei confronti del gestore che non interveniva e non interviene, come suo obbligo, a provvedere a riportare i parametri di arsenico, e non solo, entro i limiti umanamente accettabili e neanche pensa a gestire l’emergenza con approvvigionamenti alternativi. La tanto aspettata terza deroga è arrivata con la gioia del gestore e i “sospiri di sollievo” degli amministratori e di gran parte delle forze politiche. Ma il problema è rimasto! Anche in questo caso si è visto “in azione” il fervore protezionistico della politica nei confronti del gestore, anche in questo caso sono palesi le inadempienze contrattuali che si sommano alla “ordinaria amministrazione”. Ma il silenzio assordante della politica continua! A correre ai ripari ci ha pensato il Ministero della Salute con il Decreto dell’11 maggio 2011 (allegato n. 18) peraltro tardivo e non dovuto, che definisce il compito delle regioni in regime di deroga dei parametri per le acque potabili, già definito dalle leggi europee a cui nessuna istituzione governativa, nessun ente territorialesi è mai adeguato. Infatti la prima vittima di questa “guerra dell’acqua”, come tutte le guerre, è l’informazione, un elemento fondamentale nel rapporto tra cittadino e istituzione, tra gestore e utente, così come definita ai sensi dell’art.14 della Direttiva 2000/60 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (allegato n.19), la stessa direttiva a cui ha fatto riferimento la legge Ronchi, che spacciava per volontà europea la privatizzazione del S.I.I. (la sottomissione al volere dell’Europa, seppur falsificato in fatto e in diritto, per i politici italiani, vale a seconda delle convenienze).

1.8.2. Il bilancio e gli ivestimenti di Acqualatina s.p.a.

Acqualatina S.p.a. ha presentato il suo Bilancio per il 2010 con un attivo di 3,3 milioni di euro “…. nonostante la penalizzazione dovuta al problema arsenico…..” e quindi tutto va bene (sicuramente per loro) e i sindaci compiacenti approvano.
I nostri Sindaci invece dovrebbero vergognarsi di approvare un bilancio fallimentare per i seguenti motivi:
1) Acqualatina S.p.a.,dopo ben 8 anni di gestione, non ha ancora risolto il problema arsenico e ha preteso una deroga fino al 2012 che tutti, dal Governo, alla Regione, ai nostri Sindaci, non vedevano l’ora che passasse.
2) Acqualatina S.p.a ha scaricato su comuni e cittadini, con la complicità dei sindaci, ben 12 milioni di debito verso i consorzi di bonifica. Impegni contrattuali che il gestore, prima aveva sottoscritto per assicurasi la gara d’appalto, e adesso non vuole riconoscere.
3) Acqualatina S.p.a. non ha ancora restituito gli oltre 35 milioni dovuti ai comuni per il pagamento dei mutui preesistenti sugli impianti idrici che, sempre i sindaci, hanno affidato illegittimamente in gestione! Mutui che i comuni fanno finta di non richiedere per non far crollare tutta “la baracca”, ma che è stato già segnalato alla Corte dei Conti.
4) Acqualatina s.p.a ha scaricato le perdite di bilancio 2003-2005 sui comuni (sempre con l’aiuto dalla politica connivente ). Tali perdite ad oggi ammontano a 9,7 milioni di euro.
5) Acqualatina S.p.a. non paga le penali sull’abbattimento di tariffa per oltre 31 milioni di euro (parametro MALL efficienza del servizio) “bloccate” sempre dagli “amici” sindaci.
6) Acqualatina S.p.a non fa investimenti: il contratto prevedeva 146 milioni entro il 2008 e ne ha fatti solo 74,. Poi gli “amici” Sindaci hanno accordato di farne almeno 146 entro il 2011, ma anche qui niente di fatto. Poi lo scorso 14 dicembre, sempre “gli amici” sindaci, hanno accordato di farne almeno 120 milioni entro il 2011… e così via.
7) Acqualatina S.p.a. dice che quest’anno ha fatto ben 17,5 milioni d’investimenti ma dimentica di dire che ne avrebbe dovuti fare 22 milioni, mancano ancora all’appello 4,5 milioni!
Questo è il vero Bilancio di Acqualatina S.p.a.!
Infatti gli stessi revisori dei conti nella loro relazione scrivono: L’entità dell’esposizione finanziaria appare rilevante sia rispetto al fatturato, che al reddito operativo, che al patrimonio netto». In poche parole Acqualatina S.p.a. rischia il fallimento, proprio per i debiti contratti con Depfa Bank, fatti per accelerare gli investimenti.

1.9 I REFERENDUM DEL 12 E 13 GIUGNO 2011

Dopo la vittoria dei referendum del 12 e 13 giugno, dove la stragrande maggioranza degli italiani ha deciso di non continuare con la privatizzazione dei servizi pubblici e di eliminare i profitti dall’acqua ( il secondo quesito è stato il più votato), non si può aspettare oltre per mettere in pratica la volontà degli elettori. La città di Anzio non è stata da meno ( 55% dei votanti e 95% di SI) nel dichiarare la propria indisponibilità a continuare una gestione illegittima e scellerata del servizio idrico, contro la disapprovazione di tutti i partiti di maggioranza, l’indifferenza dei mezzi d’informazione e le perplessità e l’ignavia di molta parte dell’opposizione. E’ giunto il momento ristabilire il reale rapporto tra la politica rappresentativa e il consenso popolare che è stato comunque ridisegnato e imposto con i referendum. L’agenda della politica è cambiata, i soggetti portatori di interessi collettivi non sono più soltanto i partiti, i quali rischiano il tracollo politico se non modificano il loro rapporto con la base, ma sono nati nuovi soggetti, i comitati dei cittadini, che con iniziative coinvolgenti e basate sui bisogni reali , fuori dalle logiche di partito, hanno saputo veicolare le richieste di trasparenza e democrazia provenienti dal basso.
L’indirizzo politico determinato dai referendum non rappresenta una astratta volontà di partecipazione alle scelte e decisioni dell’amministrazione locale e nazionale, ma una vera e propria volontà di ribaltamento delle posizioni: da oggetto della politica a soggetto politico. La risposta chiara e inequivocabile ai quesiti referendari va al di là della pura e semplice abrogazione di un articolo di legge, ma sancisce definitivamente la volontà di rifiutare un modello di gestione dei servizi pubblici fallimentare, iniquo e antipopolare, e apre le porte ad una nuova concezione nella gestione della cosa pubblica: la definizione di bene comune. La sentenza di ammissibilità dei quesiti referendari della Corte Costituzionale è un pietra miliare nella ridefinizione dei rapporti tra cittadini e amministrazione statale: “…..l’abrogazione richiesta riguarda una normativa generale, prevalente su quelle di settore (salvo che per i sopra ricordati quattro settori esclusi), che è diretta sostanzialmente a restringere, rispetto alle regole concorrenziali minime comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. L’evidente unitarietà della disciplina di cui si richiede l’abrogazione comporta l’omogeneità del quesito. Esso, infatti, proprio perché diretto ad escludere l’applicazione di tale regolamentazione generale, è sorretto da una matrice razionalmente unitaria….. appare evidente che l’obiettiva ratio del quesito n. 1 va ravvisata, come sopra rilevato, nell’intento di escludere l’applicazione delle norme, contenute nell’art. 23-bis, che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)….”. Per quanto riguarda poi la remunerazione del capitale investito, la Consulta dichiara: “….Infine, la normativa residua, immediatamente applicabile (sentenza n. 32 del 1993), data proprio dall’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, non presenta elementi di contraddittorietà, persistendo la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare «la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”». (allegato n.20)

1.10 MANOVRE TRUFFALDINE DELL’ULTIMA ORA

Dopo questa vittoria dei cittadini, la politica e i gestori stanno tentando in tutti i modi di inficiarla e renderla inoffensiva. L’ultima trovata di Acqualatina s.p.a è quella di predisporre un protocollo d’intesa per una sanatoria delle utenze morose tra Comune e Gestore (allegato n.21). In questo documento viene evidenziato e reso esecutivo il riconoscimento del gestore del SII come recita la premessa, parte integrante del protocollo. Oltre al riconoscimento da parte dell’ente del gestore, si introduce il riconoscimento da parte dell’utente che firmerà un documento che sancirà definitivamente un contratto capestro con Acqualatina. Inoltre con questo documento Acqualatina s.p.a. apre un nuovo fronte per scaricare i costi del servizio sui Comuni, introducendo i “punti acqua comunali”, una sorta di sportello informativo all’interno del Comune, con personale del Comune, (quindi a carico della collettività) per gestire il rilascio e il ritiro della documentazione degli utenti, eliminando di fatto i costi di servizio e scaricandoli sui comuni. Questo è solo l’inizio, perché se va bene, questo modello sarà adottato per tutti i servizi Acqualatina, chiudendo tutti gli sportelli aperti sul territorio e facendoli aprire ai comuni.

2. L’alternativa: percorsi di ripubblicizzazione del S.I.I.

Si pone a questo punto il problema di come affrontare lo stato di crisi e riformulare un percorso alternativo per rilanciare una gestione pubblica del S.I.I. che non è più intesa come un mero e astratto passaggio tra “privato” e “pubblico” ma la costruzione di una nuova cultura e una nuova concezione della gestione delle risorse. La parola d’ordine è: “partecipazione”. Soltanto con una gestione pubblica “partecipata” è possibile mantenere non solo gli equilibri di economicità, efficienza ed efficacia, ma aggiungere una nuova caratteristica fondamentale nell’utilizzo della risorsa “acqua”, la solidarietà. Il controllo sulla gestione di una risorsa non sarà completamente efficace se non sia esercitato direttamente da tutte le componenti di una comunità: non solo la politica, ma è necessario e doveroso coinvolgere i cittadini e i lavoratori nella gestione di un bene pubblico che, solo con queste caratteristiche, può considerarsi un “bene comune”.

2.1 LA PROPOSTA DI LEGGE DEI MOVIMENTI PER L’ACQUA E IL FINANZIAMENTO DEL S.I.I.

Le “armi” che abbiamo a disposizione per vincere questa battaglia di civiltà non sono poche, anzi sono già da tempo a portata di mano. Prima di tutto occorre una nuova “legge quadro” che stabilisca le linee generali per la gestione del S.I.I., è questa c’è già ed è la “Proposta di legge di iniziativa popolare concernente: principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico”, presentata nel 2007 dopo una campagna che ha raccolto più di 400 mila firme di cittadine e cittadini consapevoli già allora del fallimento in atto del modello liberista (allegato n.22). Essa stabilisce i principi generali per la tutela delle risorse idriche e la definizione di bene comune essenziale per l’umanità, privo di rilevanza economica, e portatore di diritti inalienabili sanciti dalla Convezione sui diritti umani dell’ONU. Regola inoltre il finanziamento e l’applicazione della tariffe in termini di equità, salvaguardia della risorsa, eliminazione degli sprechi e solidarietà, nonché la gestione che avviene in modo esclusivo tramite Enti di diritto pubblico.
Quello che si chiede alle forze politiche è di collaborare con i Comitati dei cittadini, fattivamente e senza pregiudizi, a trovare le soluzioni legislative, a livello di riorganizzazione dei SPL (servizi pubblici locali), da parte dei Comuni e delle Regioni, al fine di verificarne la coerenza con i risultati referendari ed i principi della proposta di legge di iniziativa popolare.
Per evitare pregiudizi e confusione, forieri di immobilismo, incapacità e paura del “salto nel buio”, riassumiamo le modalità di finanziamento del S.I.I. proposte dai Movimenti per l’acqua:
1) l’erogazione giornaliera per l’alimentazione e l’igiene umana, considerata diritto umano e quantitativo minimo vitale garantito è pari a 50 litri al giorno per persona. Essa è gratuita e coperta dalla fiscalità generale.
2) l’erogazione del quantitativo minimo vitale garantito non può essere sospesa. In caso di morosità nel pagamento, il gestore provvede ad installare apposito meccanismo limitatore dell’erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di 50 litri al giorno per persona.
3) per le fasce di consumo domestico superiori a 50 litri giornalieri per persona, le normative regionali dovranno individuare fasce tariffarie articolate per scaglioni di consumo tenendo conto :
a) del reddito individuale;
b) della composizione del nucleo familiare;
c) della quantità dell’acqua erogata;
d) dell’esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi.
4) le tariffe per tutti gli usi devono essere definite tenendo conto dei principi di cui all’articolo 9 della Direttiva 2000/60 CE e devono contemplare, con eccezione per l’uso domestico, una componente aggiuntiva di costo per compensare :
a) la copertura parziale dei costi di investimento;
b) le attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per
compensare l’impatto delle attività per cui viene concesso l’uso dell’acqua;
c) la copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e controllo.

2.2. COSA DEVONO FARE I COMUNI

I comuni dal canto loro sono tra i principali artefici di questo percorso che passa necessariamente per il consenso della comunità territoriale, consenso espresso senza ombra di dubbio dai risultati referendari; ma già segnali in questo senso ci sono già stati: basta pensare alla partecipazione popolare nella raccolta delle firme per i referendum, ma soprattutto nella campagna per la raccolta firme per la delibera di iniziativa popolare per la modifica dello Statuto comunale in tema di acqua (allegato n.23). Quello che propongono i cittadini è in sostanza la definizione della risorsa acqua come bene fondamentale per la vita sul pianeta, che questo bene sia gestito senza sprechi, con metodi di equità e solidarietà, in sostanza che l’acqua sia considerata un bene comune e come tale la gestione deve essere demandata ad un Ente di diritto pubblico ai sensi dell’Art. 114 del TUEL (allegato n.24).
Quello che invece si richiede subito e senza tentennamenti alle forze politiche locali è la discussione in Consiglio Comunale di detta mozione e soprattutto la definizione di un percorso già delineato nella delibera n.6/2007 per Anzio e l’applicazione della delibera n.26/2010 per Nettuno. Impostare contestualmente una discussione che, in applicazione dei risultati referendari, porti alla riduzione del 7% sulla tariffa dell’acqua e imbocchi la strada che porta inequivocabilmente all’uscita dalla gestione illegittima e scellerata di Acqualatina S.p.a..
Le armi a disposizione ci sono, le inadempienze contrattuali sono ormai inconciliabili con un servizio efficiente ed una buona qualità dell’acqua, non c’è più tempo, non ci sono più scuse!

3. Perché “Pubblico” è meglio

3.1 PREMESSA

Perché mantenere o tornare alla gestione pubblica dell’acqua è più giusto e più conveniente per tutti? Per rispondere a questa domanda, senza fossilizzarsi su posizioni ideologiche, bisogna partire dal fatto di prendere in considerazione i dati ufficiali e ampliamente condivisi dalla comunità scientifica internazionale forniti dai rapporti dell’ONU, per passare poi all’analisi del sistema a livello degli stati nazionali e delle comunità locali. Dal punto di vista macroscopico, sappiamo tutti che il pianeta Terra è formato in gran parte di acqua e questa quantità è limitata, almeno nell’arco di tempo che interessa gli umani: non aumenta e non diminuisce, cambia in parte di stato in un circuito chiuso. Esiste una misura complessiva e un peso dell’acqua della Terra: 1,4 milioni di km cubici; è normalmente salata e solo il 2,5%, 35 milioni di km cubici, non lo è. La parte preponderante dell’acqua non salata è nei ghiacciai dei Poli e della Groenlandia (due terzi), o irraggiungibile, nelle profondità della terra (un terzo). Solo lo 0,3% di tutta l’acqua è al tempo stesso raggiungibile e potabile (laghi, paludi, falde sotterranee). Di quest’acqua a disposizione, gran parte è distribuita male rispetto agli insediamenti umani sul pianeta, tanto che si usa più acqua di quanto ne rigeneri il flusso e quindi annualmente si intacca questo stock. Poi è da considerare l’inquinamento dovuto all’industria e soprattutto all’agricoltura intensiva che, con concimi chimici e defezioni animali, inquina le falde. Ecco perché la gestione e distribuzione dell’acqua in modo equo e corretto passa attraverso un progetto di sviluppo complessivo sostenibile per gli umani e per l’intero pianeta. Il problema, a livello macroscopico, è sintetizzato in poche e fredde cifre: 2 miliardi di persone (un terzo dell’umanità) è privo di acqua potabile, 1,6 milioni di persone muoiono giornalmente per mancanza di acqua potabile, di cui il 90% sono bambini al di sotto dei 5 anni. Da questi dati accettati da tutti gli attori del mercato mondiale (ONU, Banca Mondiale, Fondo internazionale, ecc.) si evince che gli obiettivi del millennio posti dalla comunità internazionale non saranno mai raggiunti proprio a causa delle disparità economiche e sociali determinate dal “sistema”.
Quindi questo “sistema” non funziona. A questo punto è’ necessario, prima di tutto, stabilire se l’acqua sia un diritto o un bisogno. La risposta è semplice ma allo stesso tempo presenta la sua complessità nella misura in cui si interagisce, in un modo o nell’altro, con il progetto di sviluppo. Se l’acqua è un bisogno, sia pure fondamentale, rientra nei compiti e negli interessi del mercato; avrà un prezzo e sarà il mercato, attraverso il prezzo, a stabilire le regole e i limiti. Se invece è un diritto fondamentale, occorre che sia tutelato anche e soprattutto nei casi di coloro che non abbiano di che pagare le tariffe dell’acqua. Nel primo caso la legge dura e inflessibile (alla Cicerone: “ lex dura lex, sed lex”) sarà che l’acqua deve ripagare i suoi costi pieni, compreso quello inerente al giusto profitto dell’imprenditore. Le inevitabili conseguenze saranno che chi può pagare di più avrà più acqua, tutta quella che chiede, che in generale l’acqua costerà un prezzo maggiorato del profitto imprenditoriale e infine che figli e nipoti, titolari anch’essi di diritti futuri sull’acqua, non saranno tutelati. Nel secondo caso, quello del diritto all’acqua, per poterlo garantire, il problema serio (a parte la questione dell’inefficienza e della corruzione spesso attribuite alla gestione dei beni pubblici che è poi l’altra faccia della stessa medaglia) consisterà nella povera quantità di capitali a disposizione.

3.2 “ANALISI DI SCALA” EUROPEA E NAZIONALE

Dal punto di vista microscopico è sotto gli occhi di tutti il fallimento del sistema ploitico-economico basato sulla finanziarizzazione dell’economia di mercato. La politica dell’Europa per l’economia reale si è ridotta a imporre, dopo il libero mercato dei capitali, analoghe liberalizzazioni sui mercati dei prodotti, dei servizi e sul mercato del lavoro. E’ stata cancellata l’idea che siano necessarie (o anche solo possibili) politiche industriali che guidino il cambiamento di che cosa e come si produce, un cambiamento reso più importante dall’arrivo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione e dall’evidente insostenibilità ambientale del nostro sviluppo. In un contesto di bassa crescita, l’integrazione dei mercati e della moneta ha reso più forti le economie già forti. Il risultato è stata una concentrazione del potere economico e politico, generando una dinamica centro-periferia: Germania, Francia (a fatica) e Nord Europa nel centro. Sud Europa - Italia compresa -, Irlanda ed Est nella periferia. Gran Bretagna più fuori (vicina al modello di finanziarizzazione Usa) che dentro l’Europa. L’Italia della «seconda repubblica» ha visto affermarsi con i governi Berlusconi un’economia del privilegio fatta di declino industriale e qualche nicchia di export, saccheggio del settore pubblico e dei beni comuni, evasione fiscale e condoni, consumi opulenti dei ricchi e precarizzazione del lavoro. I governi di centro-sinistra hanno tentato qualche correzione, ma non hanno messo in discussione l’agenda neoliberista: privatizzazioni (acqua compresa) e rigore nei conti pubblici, tassazione agevolata della finanza, nessuna politica industriale e nessun freno alle disuguaglianze.
Il risultato è stato un decennio di ristagno economico ( oggi in termini reali il Pil italiano è al livello del 2001) che nasconde un forte spostamento di reddito, ricchezza e prospettive di vita dal 90% degli italiani (lavoratori dipendenti, giovani, Mezzogiorno) al 10% di italiani più ricchi. Senza crescita, anche se la spesa pubblica è stata tenuta stretta, era inevitabile che il rapporto debito-Pil del paese tornasse al 125% non appena è arrivata la recessione post-2008. L’insolvenza - concordata o meno - diventa più probabile; in questo caso le banche esposte potrebbero rischiare il fallimento (con un avvitamento della crisi finanziaria), i capitali internazionali smetterebbero di finanziare i paesi a rischio, l’euro ne sarebbe travolto. Per i paesi in crisi, l’esperienza argentina mostra che l’insolvenza offre un po’ di ossigeno (non si devono più usare le tasse per pagare il debito alle banche straniere), l’economia si può riprendere, ma senza la possibilità di svalutare la moneta, Grecia, Portogallo e Italia non possono puntare sulle esportazioni. La crisi di luglio ha fatto sciogliere l’illusione che un’Unione europea fondata su neoliberismo e finanza potesse funzionare. Le regole ora devono cambiare! E’ all’economia reale, a produzioni sostenibili e a lavori di qualità che devono essere ora destinate le politiche e le risorse dell’Europa. Tutto questo va discusso e deciso, nelle città come a Bruxelles, con un dibattito democratico che l’Europa non ha mai avuto. Meno disuguaglianze, più lavoro, sostenibilità e democrazia potrebbero essere le stelle polari per una rotta d’Europa che meriti di essere percorsa.

3.3 I BENI COMUNI

In questo contesto si inserisce prepotentemente la discussione sui beni comuni e del perché un bene prezioso come l’acqua non può essere affidato al mercato. Che cosa sono i beni comuni? I beni comuni vanno oltre la classica dicotomia pubblico-privato. E’ un altro modo di possedere’, come dice Carlo Cattaneo. Sono beni a titolarità diffusa, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può pretenderne l’esclusività. Sono l’acqua, l’aria, la conoscenza, i patrimoni culturali e ambientali, beni da amministrare con i principi di solidarietà e sostenibilità, nell’interesse delle generazioni che verranno. L’acqua, per essere salvaguardata, non è sufficiente che rimanga in mano a un soggetto pubblico: noi abbiamo l’obbligo di garantire ai beni comuni la permanenza nel tempo considerando la loro attitudine a soddisfare bisogni collettivi. La sfera pubblica, Stato o Parlamento, non può certamente definirli o istituirli, ma per lo meno deve servire due obiettivi: l’uno è quello di introdurre normative per proteggere i beni comuni, l’altro agevolare la massima partecipazione delle comunità nel disciplinarne l’accesso e l’uso. Quindi per parlare di gestione dei beni comuni bisogna necessariamente parlare di gestione pubblica. Facendo riferimento ad un dato storico, possiamo dire che la stagione del cosiddetto “boom economico” degli anni sessanta è stata considerata da tutti un momento straordinario di aggregazione di tutte le energie nazionali per risollevarsi ed emanciparsi dalla difficile situazione post-bellica, ma pochi ammettono che quel riscatto economico dell’Italia è stato determinato principalmente dalla sua composizione del tessuto economico voluta da una concezione di sviluppo basata sull’economia mista: quel miscuglio, quel “meticciato” economico che ha visto progredire insieme le aziende private e le aziende statali. Le aziende private aperte ai mercati in una economia ancora sana e non condizionata dai giochi di borsa, ma basata sugli incentivi al lavoro e non alla rendita, e le aziende statali attente a conseguire risultati di qualità calmierando i prezzi e garantendo diritti sociali e bisogni collettivi. In questo modo, anche se criticabile i alcuni aspetti, si è ottenuta quella responsabilità sociale, quella visione aggregante del comune obbiettivo da raggiungere, che ha permesso all’Italia di sedere tra i primi paesi industrializzati. Mentre oggi dove tutto è sottoposto alle leggi di mercato, l’economia reale è dipendente dai giochi di borsa, a loro volta drogati da interventi di finanza completamente illegale, la politica è soggiogata dal sistema economico-finanziario e persino la vita o la morte degli Stati dipendono dal voto favorevole o contrario delle agenzie di rating, siamo sull’orlo del collasso da tutti i punti di vista, economico, sociale, culturale e nelle aspettative di vita.
Allora ripartiamo dall’acqua, fonte essenziale di vita, che non può essere considerata una merce, anche se ambita fortemente dal mercato. Togliere l’acqua dal mercato significa che la sua gestione non può essere affidata ad un tipo di ente che abbia legami troppo stretti con l’andamento dei mercati e quindi non può essere una S.p.a., a prescindere dalla costituzione del suo capitale e dalla composizione dei soci. Una società a capitale pubblico è un ente di natura privatistica e il suo scopo sociale è quello di fare utili e distribuirli ai soci; non è soggetta al controllo dei cittadini e non può garantire diritti sociali, ma solo bisogni reali sottoposti però ai risultati di bilancio ( vedi AQP legge regionale pugliese sulla gestione del S.I.I.). Un diritto per essere tale deve essere garantito sempre e comunque, altrimenti non è un diritto! Una società, anche se a capitale interamente pubblico, per esempio, non può garantire il diritto, sancito dall’ONU e a cui l’Italia ha aderito, dell’erogazione di 50 litri giornalieri per tutti non sottoposti a tariffa. Una società, anche se a capitale pubblico, per esempio, non è sottoposta al controllo diretto dei cittadini: i bilanci sono approvati da un consiglio di amministrazione deciso dai soci. Una società, anche se a capitale interamente pubblico, se quotata in borsa, è sottoposta ad una gestione anche finanziaria e quindi, in un sistema di mercato come il nostro, è soggetta a oscillazioni finanziarie che ne disturbano l’andamento a scapito dei diritti dei lavoratori e della qualità del servizio. Una S.p.a., anche se interamente a capitale pubblico, non può fare a meno di essere quotata in borsa per accedere alla finanziarizzazione del capitale investito che altrimenti dovrebbe essere finanziato per altre vie ( contributi pubblici, aumento delle tariffe, abbassamento dei costi, precarizzazione del lavoro, abbassamento della qualità del servizio).
Per questo riteniamo che per gestire un bene comune come l’acqua è necessario un Ente di diritto pubblico partecipato. Cioè un Ente, anche in forma consortile tra Comuni, che erediti tutte le capacità e le conoscenze industriali acquisite nella passata gestione. Ricordiamo che prima dell’avvento del mercato, i servizi, in Italia erano tutti pubblici ed avrebbero funzionato decentemente se la politica non avesse anteposto proprio, gli interessi privati e personalistici a quelli pubblici. Mentre aprendo il controllo della gestione ai cittadini e ai lavoratori, si eviterebbe anche questo problema. Sicuramente non esiste una soluzione unica al problema ma per identificarne una bisogna partire dalle fondamenta e la via per costruire queste fondamenta è quella della solidarietà e della giustizia sociale, dei diritti e della nostra Costituzione ( es. vedi art.43).

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