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Conferenza "Arsenico, ce lo danno a Bere"; il Contributo dell’Associazione Acquadolce. Nettuno, 26 febbraio, Anzio 4 marzo 2010

16 marzo 2011

IL 26 febbraio scorso a Nettuno si è tenuta la conferenza "arsenico, ce lo danno a bere" organizzazta dal Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno di cui l’Associazione Acquadolce è tra i fondatori. L’incontro pubblico, tenuto nella sala consiliare del Comune di Nettuno, (la stessa conferenza si è tenuta anche ad Anzio nella Sala consiliare di Villa Sarsina il 4 marzo scorso) inizia alle ore 16,30 e vede alternarsi gli interventi degli esperti del Comitato che hanno parlato di: sviluppo urbanistico incontrollato e abbassamento delle falde acquifere; problemi geologici legati alla presenza di arsenico nelle acque potabili;arsenico nell’acqua potabile, i rischi della salute. L’apertura della conferenza, a cura dei rappresentati del Comitato, è stata preparata e sviluppata dall’associazione Acquadolce il cui testo riportiamo integralmente qui di seguito. In allegato si possono trovare tutti i documenti che hanno accompagnato la Conferenza.

CONFERENZA DEL 26 FEBBRAIO 2011 “ARSENICO, CE LO DANNO A BERE”: APERTURA DEL LAVORI (a cura dell’Ass. Acquadolce)

1. Campagna referendaria, una battaglia di civiltà.

La Corte Costituzionale ha ammesso due quesiti referendari, un obiettivo determinato dal successo del 1.400.000 firme raccolte su tutto il territorio nazionale compresi Anzio e Nettuno. E’ stato un successo straordinario dovuto al lavoro di tutte le realtà presenti sul territorio: una straordinaria mobilitazione che ha visto uniti insieme le organizzazioni del mondo cattolico, i comitati cittadini, con le organizzazioni sindacali, i partiti della sinistra radicale, i centri sociali. Tutti consapevoli che quello che stiamo portando avanti sull’acqua bene comune è una battaglia di civiltà.
L’unità di intenti che ha accomunato tutte queste organizzazioni , si è manifestata nelle scelte democratiche condivise a partire dalla scelta del Logo della Campagna referendaria che è stato il frutto di un percorso fatto da migliaia di persone che insieme, con le loro idee, con il loro contributo, con grandissima attenzione, hanno tirato fuori un simbolo che accomuna tutti nella stessa battaglia, che va ben aldilà del problema acqua. Oggi siamo qui a chiedere al Governo italiano di prendersi le proprie responsabilità e di fare le scelte necessarie nel rispetto del diritto di espressione della volontà popolare. Abbiamo chiesto a questo governo una moratoria che blocchi qualsiasi atto che tenda a privatizzare ancora il servizio idrico fino a quando il popolo italiano non si sia espresso su i due quesiti referendari. Abbiamo chiesto l’accorpamento del data del voto per il referendum con le elezioni amministrative di primavera. Prima di tutto per una questione di spesa pubblica, in modo tale che non vada a gravare sulle casse dello Stato ed inoltre per evitare che i cittadini siano chiamati a votare più volte determinando una “stanchezza elettorale” che demotivi e allontani gli elettori dalle urne. Ma il Ministro dell’Interno Maroni ha già risposto con un secco no. Pur di creare difficoltà al popolo dell’acqua, questo governo è disposto a tutto, anche a far pagare, in periodo di crisi, 10 milioni di euro in più ai sui cittadini. Il secondo motivo di orgoglio per noi è la scelta dell’autofinanziamento della campagna referendaria( che ci ha permesso di essere indipendenti da qualsiasi potere politico e/o economico) che, ricordiamo a tutti, può avvenire in due modi: per semplice donazione di un contributo o per sottoscrizione con rimborso. La sottoscrizione con rimborso consiste in un versamento di una quota in denaro che dopo il referendum, previo raggiungimento del quorum, verrà restituita ai singoli sottoscrittori con i finanziamenti elettorali erogati per legge dallo Stato. In questo modo avremo il controllo e la totale trasparenza dei flussi finanziari destinati alla campagna. Questi tipi di scelte sono stati determinanti per definire, senza ombra di dubbio, che questo è il primo referendum che è stato portato avanti senza padrini politici e con una raccolta di firme senza precedenti (1.400.000) nella storia della Repubblica. E per questo chiediamo a questo Governo che ristabilisca il diritto, sancito dalle sentenze di ammissibilità della Corte Costituzionale, quella famosa sovranità popolare, che è stata più di una volta violata. La prima volta quando è stata presentata la legge di iniziativa popolare con 400.000 firme di cittadini e cittadine che ne chiedevano la discussione in Parlamento e, dal 2007, giace ancora nei cassetti di qualche commissione parlamentare. La seconda volta è stata violata quando il Decreto Ronchi è stato convertito in legge con una parte di popolazione contraria, con molti Enti locali che hanno espresso parere contrario fin da subito sollevando conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale perché investiva il problema dei servizi pubblici locali. Violata ancora una volta quando è stato posto il voto di fiducia sulla conversione in legge del decreto, sottraendolo alla discussione in Parlamento. Violata oggi, quando si cerca di spacciare come acqua potabile un’acqua fuori dai parametri di qualità, senza informazione se non addirittura con tante falsità, a cui non si sono sottratti neanche i nostri amministratori locali, che prima hanno cominciato a dichiarare che l’acqua che usciva dai nostri rubinetti era buona, in contraddizione con l’ultimo decreto del Governo che ha dichiarato lo stato d’emergenza nel Lazio. Poi sotto la spinta delle nostre iniziative e delle nostre argomentazioni hanno incominciato a fare marcia indietro. Fino ad arrivare alle pressioni sulla Commissione Europea per aggirare l’ostacolo e alzare i parametri di arsenico nell’acqua fino a 20 microgrammi per litro. Tutti questi organi istituzionali, sindaci compresi, pensano che siccome sono eletti dal popolo hanno il diritto di aggirare le leggi a loro piacimento. Non ricordando che gli elettori hanno dato mandato ai loro rappresentanti per amministrare la cosa pubblica, non per difendere gli interessi e i profitti delle multinazionali.
Con la sentenza di ammissibilità dei due quesiti referendari sull’acqua. la Corte Costituzionale sancisce il diritto dei cittadini a decidere se il S.I. debba essere o no gestito da privati e se si possono fare profitti sulla gestione di detto servizio, ma soprattutto smentisce, una volta per tutte, una grande mistificazione politico-culturale che voleva il Decreto Ronchi, cosi come recita il titolo, un decreto di attuazione di direttive europee, quando l’Europa non ha mai affermato che il servizio idrico debba essere privatizzato. Smentisce inoltre il Ministro quando afferma che noi dichiariamo il falso affermando che l’acqua sia privata, quando in effetti l’acqua è pubblica. Sicuramente l’acqua sarà pure pubblica ma solo nella sua entità ecologica. E’ la gestione del servizio idrico, e per gestione s’intende la captazione e la distribuzione dell’acqua, che fa si che il bene acqua, cioè quello che arriva nei nostri rubinetti diventa un bene privato. Un’altra palese mistificazione che la Corte costituzionale mette in risalto è il problema della concorrenza. Cioè affidare l’acqua al mercato significava aprire alla concorrenza tra imprese che avrebbe fatto abbassare il prezzo delle bollette , aumentare gli investimenti, migliorare la qualità del servizio. Niente di più falso! In nessun paese al mondo, e tantomeno in Italia, in cui si è passati da un servizio pubblico a uno privato si è mai visto abbassare il prezzo del servizio, Questo per il semplice motivo che l’acqua è per definizione un monopolio naturale: in uno stato di monopolio il prezzo lo fa il monopolista, sia esso pubblico che privato.

2. La battaglia continua. Una vittoria culturale

Il percorso iniziato non sarà una passeggiata, poiché ci sono interessi di natura internazionale che si abbattono sull’acqua. Un dato fra tutti, tangibile e riscontrabile di questa situazione è dato dal fatto che, proprio il giorno dopo la pubblicazione del Decreto Ronchi, i valori delle borse sono subito aumentati per effetto di quel decreto. Tutte le azioni delle imprese quotate in borsa che si occupano di acqua, hanno raddoppiato il valore da un giorno all’altro.
Finalmente, per la prima volta, questo movimento ha fermato l’avanzata selvaggia della privatizzazione, ha fermato la percezione culturale che il privato è più bello e più efficiente: un dogma culturale radicato nell’immaginario collettivo di ognuno di noi. E l’ha fermata anche qui a Nettuno, quando il Comitato Acquapubblica Anzio-Nettuno. ha fatto approvare una delibera di iniziativa popolare proprio per modificare lo Statuto e dire una volta per tutte che l’acqua è una bene pubblico, la gestione dell’acqua deve essere pubblica e non può essere fatto profitto su questa gestione. Ma fino ad oggi i nostri politici non stanno facendo niente per metterla in pratica. Per i nostri politici la gestione dell’acqua è’ un po’ come la Costituzione, “bella, e impossibile”!
Quindi lo straordinario risultato raggiunto ( due referendum sulla ripubblicizzazione dell’acqua a fronte di 1.400.000 firme) dai movimenti per l’acqua è, prima ancora di un grandissimo risultato numerico, un grandissimo risultato culturale. Non solo ferma l’avanzata ma mette in discussione la privatizzazione dei bei comuni, come il sapere, la scuola, il lavoro, mette in discussione un sistema ( oseremmo dire. mette in discussione proprio il sistema capitalista)! Un risultato culturale che viene sbattuto in faccia alla nostra classe politica, chiusa nel suo splendido isolamento fatto di autoreferenzialità e spesso di arroganza. Una classe politica a cui chiediamo di prendere posizione, che dica una volta per tutte da che parte vuole stare: se dalla parte della democrazia e del diritto o dalla parte dell’autoritarismo e del profitto!

3. I beni comuni

Insomma oggi c’è una priorità sull’agenda politica che è quella del referendum, che non riguarda solo la formalità ma il fatto che una serie di movimenti: operai, studenti, precari, associazioni, centri sociali, ecc. che quando rappresentano i temi in discussione all’interno delle loro istanze, parlano e fanno un esempio primo fra tutti: l’acqua. Quindi è sui bisogni naturali che si discute e si prende posizione, e questa richiesta di chiarezza su come devono essere gestiti i beni comuni, proviene dal basso, è un’esigenza popolare e non un problema astratto. Quindi le forze politiche sono chiamate in prima persona a schierarsi senza svicolare o eludere il discorso. Questo risveglio culturale in merito alla discussione sui beni comuni non è una questione solo italiana, è un dibattito aperto a livello planetario. L’acqua è un problema globale e parlare di gestione pubblica non può essere tacciato per un ritorno al passato. Se le forze politiche vogliono intraprendere il discorso sulla modernità, devono affrontare obbligatoriamente il problema dell’acqua e dei beni comuni. Il consenso non si costruisce all’interno delle segreterie di partito seguendo la scia delle alchimie delle alleanze politiche, il consenso si costruisce all’interno della società, dove oggi esistono forze e capacità analitiche che indicano quali sono i termini costitutivi dell’agenda politica.

4. Si scrive acqua, si legge democrazia.

Il problema della perdita dei diritti per effetto della crisi: la perdita del lavoro, la perdita della casa, la perdita del diritto alla salute non solo per i tagli, (infatti negli USA, chi perde il lavoro perde anche l’assicurazione sanitaria perché non può più permettersela. Per questo Obama sta tentando di fare la riforma sanitaria) è un problema epocale. Oggi stiamo vivendo in una guerra (la crisi economica) che non farà prigionieri. All’ultima conferenza degli esperti economici mondiale di Davos, un importante Banchiere USA ha detto:” il tempo dei rimorsi è finito”. Cioè bisogna ritornare al dominio del mercato e del profitto, come prima della crisi. Le banche sono state salvate con i soldi pubblici e ai cittadini non vengono riconosciuti i propri diritti. Ebbene, a questa situazione, la risposta del nostro Governo è la modifica dell’art. 41 della Costituzione, quello che dice appunto che il diritto di fare impresa è garantito ma con dei limiti ben precisi e cioè la difesa della libertà, della salute e della dignità della persona e che, inoltre, lo Stato non può chiamarsi fuori dalla responsabilità di determinare le finalità dell’attività economica pubblica e privata per scopi sociali.

5. Da una grande falsità ( pubblico inefficiente, privato efficiente) a una grande verità: la modernità rivoluzionaria della Costituzione della Repubblica Italiana.

Oltre ai già declamati fallimenti del mercato, non possiamo certo dire che il pubblico è sempre stato efficiente, basta pensare alle odierne vicende romane in cui aziende pubbliche diventano un ricettacolo di clientes della classe politica, utilizzando il posto pubblico come scambio di favori e favoritismi. Oppure la gestione del vecchio Consorzio di Carano che ha lasciato bilanci fallimentari e contenziosi ancora aperti. Ma non è possibile che lo Stato metta in mano ad un solo soggetto privato un bene pubblico senza nessun controllo. Basterebbe soltanto che il pubblico torni ad essere gestito secondo la sua natura. E l’aiuto ci viene ancora una volta dalla Costituzione in cui i padri della Repubblica nella loro lungimiranza hanno previsto questa terza via. L’art. 43 della Costituzione infatti dice che possono essere affidati oltre che allo Stato o enti pubblici anche a comunità di lavoratori e utenti, proprio quei servizi pubblici essenziali che abbiano carattere di preminente interesse generale. Chi se non il servizio idrico ha queste caratteristiche?
Quindi il discorso sui beni comuni è aperto e fa parte di quella filosofia della modernità tanto sbandierata, a volte abusivamente, da tutte le forze politiche, ma tanto presente nei movimenti e nelle organizzazioni dal basso che stanno facendo oggi la storia di questa Repubblica.

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